Stralcio dell’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 23/6/2019 dal luminare della geriatria Carlo Vergani: «Geni e ambiente: così si diventa giovani anziani»

Il geriatra: «Dopo gli 80 anni si passano le colonne d’Ercole. L’importante è avere una rete di protezione»

Anziano a chi? A Renzo Arbore, che a 81 anni vive di musica e concerti? A Franca Valeri, che a 99 anni rifiuta l’anagrafe? A Ferruccio Soleri, che solo a 88 anni ha smesso di essere Arlecchino? Attenti a quel che dite nell’Italia dello tsunami grigio, dove ogni cento giovani sotto i 15 anni ci sono 168 senior, che di anni ne hanno più di 65. Nella stagione più longeva della storia il sorpasso certificato dall’Istat è diventato una fuga: nel 2050 gli over 65 supereranno i 20 milioni e gli under 25 saranno meno di 14 milioni. Se il Novecento aveva associato l’invecchiamento alla parola «pensione», dal 2020 si dovranno riconsiderare le età della vita. A 65 anni ne comincia un’altra. E a 80 si potrà dire: vecchio sarà lei. «Quando ho iniziato a interessarmi degli anziani, in Italia la speranza di vita alla nascita era di 70 anni. Oggi è salita a 83», dice Carlo Vergani, medico, geriatra, uno dei maggiori esperti di problemi legati ai processi biologici dell’invecchiamento. «Viviamo mediamente 13 anni in più e ci sono due pensionati ogni tre occupati. Più nonni che nipoti». Ma lo Stato pensa ad altro, i giovani sono schiacciati dalla spesa previdenziale, gli anziani restano condizionati dai limiti del sistema sanitario. «È suonato il gong», avverte Vergani. La nuova longevità ha creato un intermezzo, terza e quarta età sono saltate: non si è più giovani, non si è ancora vecchi. Arrivati a sessanta, di anni se ne possono programmare altri trenta, in cui la parola «anziano» suona quasi offensiva se si è in buona salute e si possono schierare competenze, esperienze, intuizioni, affettività. «Vedo avanzare un anziano nuovo, inedito, che respinge la rottamazione, si impegna nel volontariato e non vuole essere una risorsa inutilizzata», sostiene Vergani. Eppure c’è anche l’opaca disperazione di chi non vive ma sopravvive tra ricoveri, ospedali, case di cura, anticamera di solitudini e abbandoni, di costi sociali e drammi familiari. C’è un invecchiamento triste, faticoso, drammatico che accusa le distrazioni del welfare e dell’assistenza. «Su questo ha ragione papa Francesco: dobbiamo contrastare la cultura dello scarto, che per gli anziani è un’eutanasia nascosta. Certi beni relazionali non vanno nel Pil, ma rappresentano la nostra umanità».
Invecchiare è come essere in un fortino assediato, si perde qualcosa ogni giorno. Lei, professore, si sente assediato?
«Anche sotto assedio c’è sempre qualcosa da fare. Leggere, studiare, tenere attivo il cervello, fare leva sulle proprie esperienze».

Gli anni si contano o si pesano? «La profondità del tempo è più importante della sua durata».

Ma la vita più si svuota, più diventa pesante.  «Bisogna applicare il suggerimento di James Hillman: arrivati a 50 o 60 anni si deve incominciare un’altra terapia, quella delle idee».

Quando si comincia a diventare vecchi? «Non c’è un cartello, come in autostrada. La soglia che definisce il passaggio all’eta avanzata è dinamica. A meta del secolo scorso chi aveva 65 anni poteva disporre di altri 13 anni di vita. Oggi 13 anni sono l’aspettativa di vita di un uomo di 75 anni».

Roth diceva: la vecchiaia è un massacro… «Abbiamo una pletora di strutture e funzioni nell’organismo che ci consente di compensare l’usura e le perdite occasionali e mantenere l’omeostasi, cioè l’equilibrio interiore».

Che significa… «Solo quando la perdita supera la capacità di compensare, subentra l’invecchiamento. Ci si impoverisce, si diventa fragili, facilmente destabilizzabili…».

Possiamo rallentare questo decadimento?  «Il fenotipo senescente, cioè l’insieme delle caratteristiche osservabili nell’organismo vivente che invecchia, è il risultato dell’azione dei geni e dell’ambiente. L’ambiente non scivola via, è tutto ciò che ci può cambiare come l’esercizio fisico, la dieta, l’abitudine al fumo, l’aria che respiriamo, le sostanze chimiche, compresi i farmaci, a cui siamo esposti».

I sessant’anni sono un’età da ridefinire? «Alcune statistiche pongono i 60 anni sulla parte avanzata della traiettoria della vita. È un errore: i 60enni oggi sono i giovani vecchi».

Che cosa cambia a settant’anni?  «Si diventa invisibili. Ricordo l’esempio che faceva Valentino Bompiani: in una sala d’aspetto entra una bella ragazza che cerca qualcuno, fa il giro con gli occhi e quando arriva a te non ti vede, ti salta come un paracarro. La vecchiaia comincia allora…».

Suggerimenti pratici per la salute?

«Dobbiamo prevenire o dilazionare l’insorgenza delle malattie croniche, come le malattie cardiovascolari, l’insufficienza respiratoria, il diabete e i disturbi cognitivi con sane abitudini di vita da instaurare fin dall’infanzia».

Com’è il bollettino medico degli anziani?

«In Italia l’80% degli ultrasettantacinquenni presenta una o più malattie croniche e il consiglio dell’Oms è astenersi dal fumo, controllare il peso corporeo, fare esercizio fisico. La foto degli italiani è questa: il 20 per cento fuma a partire dai 14 anni. Uno su dieci è obeso. Uno su tre è in sovrappeso. E il 50 per cento della popolazione non pratica esercizio fisico».

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